La maternità non è dicotomica

La maternità non è dicotomica.
Non è bianco o nero.

Non è volere o non volere un figlio.
Amarlo o non amarlo.
Essere felici o tristi.
Essere brave madri o cattive madri.
Non è alto contatto o basso contatto.

RIposarsi o lavorare fino alla fine. 
Parto naturale o parto cesareo.
Epidurale si o no.
Allattamento al seno o artificiale.
Dormire insieme o ognuno nel suo letto.
Passeggino o fascia.
Lasciarlo piangere oppure no.
Ciuccio o non ciuccio.

Viziarli oppure no.

Queste sono tutte cose ridicole.
Sono scatole sociali date da una cultura che incasella.
Che giudica.
Che non sostiene e quindi propina teorie e non modelli.

Nell’assenza di una sana narrazione Della Maternita questo succede.
Usciamo dal nostro corpo.
Perdiamo il con-tatto con gli abitanti della pancia.

E ogni consiglio (non richiesto) diventa un faro, che posto di far ritrovare la via, ci porta più a largo. 

La maternità non è dicotomica.

È il bianco, il nero, è tutto ciò che c’è nel mezzo. 
Le mille mila sfumature che ci sono nel mezzo.

È sentirsi entusiaste di avere un figlio, e pensare quanto sarebbe bello vivere in un isola deserta. 
E tutto ciò che ci sta nel mezzo.

È orientarsi sulle scelte ma poi renderle realistiche.

Perché il corpo gravido ce lo ricorda continuamente.
Serve morbidezza.

In primis con noi stesse.

“Farò il cosleeping”
Poi però sono centoventi gradi fahrenheit e quindi ognuno nel suo letto!

“Non lo voglio abituare a dormire con me”
Poi si svegliano sei volte in un minuto e quindi la sopravvivenza vince su tutto.

E poi ricordate un mantra fondamentale…
“Sto facendo del mio meglio”

Nel contesto in cui sono.
Nel momento che sto vivendo.
Con le possibilità che ho.
Che in una società patriarcale che riconosce solo la “donna/madonna” gravida.

Felice.
Ma sottomessa.
Sempre pronta.
Disponibile.
Sola.

Anche basta.

Noi madri stiamo facendo anche troppo.
E andrebbe riconosciuto.
Dovreste applaudire quando passiamo per strada.

Perché mentre ci scoppia dentro la vita e il mondo, intorno a noi tutto si fa “piatto”.
Giusto o sbagliato.

“Sto facendo del mio meglio”